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In 50 città italiane, ieri sono scesi in piazza gli studenti che quest’anno sperimenteranno la nuova maturità.
Una maturità work in progress aliena dal curriculum di studi che ognuno dei ragazzi ha fatto negli anni procedenti e a affidata come nei migliori quiz televisivi al caso: busta 1, busta 2, busta 3.
Due domande:
1: quale gilet avrebbero dovuto indossare ieri gli studenti per essere considerati interlocutori del Governo?
2. perché in piazza ieri c’erano solo gli studenti e non anche i docenti e i loro genitori? Perché non c'eravamo anche noi perchè cittadini?Nelle ragioni, negli slogan urlati ieri e nelle richieste avanzate, i ragazzi scesi in piazza hanno ricordato che la scuola è pubblica, hanno protestato per "i tagli all'istruzione da 3,9 miliardi di euro, un taglio alla formazione di noi cittadini di domani", hanno chiesto di non essere tratatti come 'cavie' da chi vuole sperimentare il cambiamento degli esami.
Ieri in piazza hanno portato temi politici, non la definizione di un prezzo di un bene come il latte o il rimborso di qualcosa.
Oggi i ragazzi giustificheranno l’assenza di ieri. Perché ieri erano assenti ingiustificati.
Una terza domanda allora: erano veramente solo loro gli assenti ingiustificati, ieri? -
Pensiamo veramente che il sistema scolastico va cambiato cambiando i processi di relazione educativa in campo. Educare è anche educarsi.
E un corso di formazione è per noi un momento in cui apprendere significa mettersi in gioco.
Facilitare a scuola, o meglio una scuola dove il complesso sistema di figure educanti sappia fare squadra è un punto di arrivo che richiede oggi un diverso punto di partenza. Non è facile facilitare in sistemi (anche burocratici) sempre più complessi. E la scuola è uno di questi.
Non è impossibile cambiare la scuola in meglio. E a farlo non sono i Governi, ma gli insegnanti e i dirigenti per primi.Ecco il corso di formazione "Facilitazione di classe" per portare la facilitazione a scuola. Un laboratorio pratico, condotto da Comunitazione, per approcciare strumenti e tecniche di facilitazione, utili per migliorare il lavoro nelle classi e nel team di insegnanti, sviluppare una comunicazione efficace, rafforzare la propria leadership. L’obiettivo è imparare a rendere le riunioni più efficienti, a prendere decisioni in maniera collettiva, far emergere le soluzioni condivise laddove si presentano contrasti forti, insomma a portare creatività, partecipazione e innovazione all’interno delle classi e durante le riunioni e gli incontri tra insegnanti. I partecipanti sperimenteranno, inoltre, tecniche di apprendimento non formale per rompere la frontalità e incrementare la collaborazione e l’ascolto.
Il corso ha una durata complessiva di 20 ore, con 4 incontri da 4 ore ciascuno (previsti per il 6 e 19 marzo, 3 e 16 aprile) a cui si aggiungono 4 ore di tutoraggio online da parte dei formatori. Condotto da Melania Bigi, Giulio Ferretto, Ilaria Magagna.
Il termine delle iscrizioni è fissato al 27 febbraio.
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Ieri sera, al primo incontro di Artigiani dell’imprudenza, abbiamo scoperto un Manzi che pochi conoscevano. Per molti di noi era solo il maestro che accelerò, grazie alla televisione, il processo di alfabetizzazione degli italiani. Invece abbiamo conosciuto un Alberto Manzi scrittore, nonviolento, innovatore didattico e disobbediente.
Ad esempio. Nel 1981, pochi lo ricordano e pochissimi lo sanno, si rifiutò di redigere le "schede di valutazione" che la riforma della scuola aveva messo al posto della pagella. Manzi si rifiutò di scriverle perché sosteneva: «Non posso bollare un ragazzo con un giudizio, perché il ragazzo cambia, è in movimento; se il prossimo anno uno legge il giudizio che ho dato quest'anno, l'abbiamo bollato per i prossimi anni.»La disobbedienza gli costò la sospensione dall'insegnamento e dalla paga. L'anno dopo il Ministero della Pubblica Istruzione fece pressione su di lui per convincerlo a scrivere le valutazioni. Manzi fece intendere di non avere cambiato opinione, ma si mostrò disponibile a redigere una valutazione riepilogativa uguale per tutti tramite un timbro; il giudizio era: "fa quel che può, quel che non può non fa". E quando il Ministero gli fece notare che per le valutazioni non si possono usare i timbri, lui scrisse la stessa frase a mano.
I maestri, le donne, gli scemi del villaggio sono gli attori del cambiamento nei suoi romanzi.
La scuola, la nostra scuola, è disseminata di maestri eccellenti. Da prendere da esempio. -
«Perciò avanti serenamente, allegramente, con quel macinino del vostro cervello sempre in funzione; con l'affetto verso tutte le cose e gli animali e le genti che è già in voi e che deve sempre rimanere in voi; con onestà, onestà, onestà, e ancora onestà, perché questa è la cosa che manca oggi nel mondo e voi dovete ridarla; e intelligenza, e ancora intelligenza e sempre intelligenza, il che significa prepararsi, il che significa riuscire sempre a comprendere, il che significa riuscire ad amare.»
È di Alberto Manzi, tratta da una lettera scritta ai suoi alunni al termine della quinta elementare. Sarà lui il protagonista del primo incontro del ciclo Artigiani dell'imprudenza, 3 appuntamenti nati da un gruppo di docenti, dirigenti, educatori e operatori del sociale che, da alcuni anni, porta avanti una riflessione sull’educare negli spazi della nostra casa editrice.
A guidare la ricerca sul maestro Manzi sarà Angela Paparella, anche lei maestra. Ci incontreremo per conoscerci, condividere, formarci, attingendo alle radici dell’educazione e mettendoci in gioco come adulti che vogliono occuparsi dell’umano.
Vi aspettiamo il 13 febbraio, a Molfetta, presso la biblioteca del Liceo Scientifico “Albert Einstein”. La partecipazione è libera e gratuita.
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Raccontare, scrivere, dipingere con le parole i propri mondi interni: siamo proprio sicuri che sia sempre salutare?
Certamente fa un gran bene esprimersi e fa altrettanto assai bene dare forma e racconto alle nostre “voci di dentro” ma non è il raccontarsi in sé che libera, ci libera. Se le nostre narrazioni si ripetono identiche per tutta la vita, non mutando forma né contenuti, siamo destinati a non avere scampo, prigionieri delle nostre stesse intelaiature. Condizionati.
Sicché non è vero che raccontarsi equivalga sempre a prendersi cura di sé.
E allora?
Ed allora felicità, maturazione e “scampo” coincidono con un narrare che deve apprendere il giocare: come proprio della consulenza sistemica, e della consapevolezza costruttivista, le storie che ci raccontiamo hanno da imparare a capovolgersi, aprendo visioni e parole, con l’obiettivo di dirci e darci parole nuove, non solo quelle con cui la narrazione autobiografica ci prende, talvolta persino a nostra insaputa.Un ruolo centrale in questo breve corso di formazione autobiografica l’avrà la plasticità cerebrale e, dunque, la creatività. Tra neuroscienze costruttiviste, estetica e counselling sistemico, proveremo a sperimentarne rivoli e acrobazie, ma anche ristori e riposi, per prenderci cura non solo del nostro bisogno di avere ragione ma anche del nostro bisogno a cercarne nuove, di ragioni.
Nessuna autobiografia
È basata
Su una storia vera.
Da qui nasce Ri-Scritture e Ri-Scatti, un percorso di formazione autobiografica trasformativa e counseling sistemico in due giornate, previsto per il 1 e 2 marzo 2019, presso la Parrocchia Sant’Antonio a Bari, condotto da Andrea Prandin e Antonia Chiara Scardicchio. Un'occasione formativa dedicata a educatori, counsellor, formatori esperti o anche soltanto curiosi del mondo complesso della narrazione di sé con potenzialità trasformative a cui è possibile iscriversi entro il 20 febbraio.